Linde Burkhardt Texte

Linde Burkhardt ceramista

Enrico Crispolti

Il lavoro in ceramica di Linde Burkhardt mi sembra nasca sia da una consapevolezza della plausibilità di un impegno progettuale di design praticabile almeno a piccola serie, sia al tempo stesso dalla consapevolezza del ruolo decisivo di un risolutivo intervento in termini di operatività manuale, segnico-materica.

Mi sembra infatti che Linde proprio attraverso un intervento ultimativo di inventività manuale, segnica, materica, cioè attraverso un intervento segnico-materico prima che morfologico, proceda ad un’appropriazione immaginativa dell’oggetto già prodotto artigianalmente (piatto, o vaso, che sia), e di qui proceda con intensa partecipazione inventiva a una sua eventuale trasformazione o meglio combinazione formale quanto di tissularità di superficie diversa.

E se i suoi vasi offrono i maggiori esempi di sua trasformazione appropriativa di forme date, sono soprattutto i suoi piatti ad offrire esempi di reinvenzione tissulare, segnico-materica, operando sulla loro superficie inventivamente in senso sia appunto segnico-materico, sia in senso cromatico, e sempre in modo corsivo sulla materia che gli è offerta dalle forme date; graffiando, incidendo, segnando, appunto colorando. Opera dunque un’invenzione entro l’ambito oggettistico ceramico in quanto appunto forma, in una relazione di limite con l’ambito della mera serialità del design.

Se infatti il design offre le possibilità di eccellenza formale di una serialità iterativa, capace di stabilire un’unicità di valore formale testualmente moltiplicabile attraverso la riproduzione identica, nel lavoro di Linde si verifica invece la pratica di una particolarissima serialità di varianti segniche o cromatiche, spesso materiche, attraverso le quali realizza il proprio decisivo intervento di appropriazione dell’oggetto dato, con un risultato dunque di unicità. Che è il traguardo al quale il suo fare maggiormente mira.

Infatti la sua espressività, venata d’una particolare disposizione d’evocazione lirica di valenze archetipe del segno e del gesto che lo guida, si realizza appunto in tale appropriazione. Il suo progetto insomma mi sembra risolversi tutto felicemente nell’intervento d’appropriazione, soprattutto segnico-materico-cromatico, ma eventualmente anche formale, di modificazione della forma dell’oggetto dato, desunto dalla serialità artigiana, eventualmente anche rifacendosi ad archetipi formali tradizionali, ma reso unico attraverso il ductus di quella sua scrittura appropriativa, molto corsiva e inventivamente assai vivace.